Pane di buona qualità, alcuni consigli per riconoscerlo

Stanchi di non capire come si fa a distinguere rosette, pagnotte e sfilatini fatti a regola d’arte da quelle a cui la produzione industriale ha levato sapori, odori e identità, brigando per proporli precotti e surgelati, abbiamo cercato di far chiarezza sull’argomento.

Infilati portatile e reflex nello zaino ci siamo diretti verso Roma, meta l’Antico Forno Roscioli, dove ogni giorno centinaia di romani allargano di piacere le narici per accogliere il profumo del pane fresco, fatto con farina di qualità, fermentazione naturale, e due lieviti, uno a ph costante per il pano bianco, l’altro acido (lievito madre) ricavato dall’acqua delle patate, per il pane rustico.
E nonostante i 15 quintali di pane che escono ogni giorno, niente additivi, miglioratori o lievitazioni frettolose.
A Pierluigi (sempre più il sor Roscioli), erede di una stirpe partita da 11 fratelli marchigiani e proprietario insieme al fratello Allesandro, oltre al forno, della Salumeria e del Caffè Roscioli, abbiamo chiesto come riconoscere il pane buono prima di comprarlo.
Possibilmente senza possedere una laurea in chimica o avere fatto sette corsi di analisi sensoriale.
Prima di iniziare vi diamo un’anteprima: Roscioli aprirà presto un nuovo centro di produzione distante dalla sede tradizionale, un po’ fuori città. Non è soltanto una questione di comodità.
“Potrò fare tutti i tipi di cottura, là potrò riusare i forni a legna e per quanto riguarda l’energia elettrica sarò autosufficiente al 65%, grazie ai pannelli solari. E ripianterò ogni albero che brucerò per panificare”.
Ma non temete per le vostre prossime vacanze romane: il forno Roscioli di via dei Chiavari rimane lì.
Prima di toccarlo, dobbiamo già sapere che è ruvido. Le rughe, nel pane, sono l’espressione della saggezza di chi lo fa.
Vi sento eh, immagino già cosa state pensando, quindi corro ai ripari provando a dire qualcosa che non sappiate già.
La crosta, che secondo Roscioli è perfetta quando ha uno spessore di quattro millimetri, non deve staccarsi troppo facilmente dalla mollica e le alveolature (i buchi nella mollica) non vanno bene troppo ampie: sono entrambi segni di una ricetta poco bilanciata.
Tenete presente che più il lievito è presente nell’impasto più le cavità sono grandi: nel forno, il pane continuerà a gonfiare e le cavità si faranno sempre più spazio, arrivando addirittura a rompere la superficie per far uscire i gas interni.
In pratica, avremo una pagnotta dall’aspetto molto rustico, ma con una proporzione sbagliata tra crosta e mollica.
Sottovalutata. Un pane poco cotto non solo pesa moltissimo (anche sulle nostre tasche), ma non avendo ceduto al forno tutta la sua umidità, si ammoscerà in poco tempo.
Quello ben cotto, migliora nel tempo, riprendendo pian piano l’umidità dall’esterno.
Gli ingredienti del pane sono acqua, farina, sale e lievito. Volendo aggiungere del grasso, olio extravergine di oliva o margarine buone (ma nobili, Roscioli ci parla di quella, libera da olio di palma, con cui prepara i suoi panini da hamburger).
Si può usare anche il burro, qualitativamente impeccabile ma che “tira fuori una serie di odori da formaggio” non molto gradevoli nel sacchetto del pane.
Inciso scontato ma necessario: un buon pane si fa senza miglioratori, ovvero senza gli aiutini per accelerare la lievitazione. Ma attenzione, leggere l’elenco ingredienti non è sempre sufficiente. Qualche volta non si vedono, ma ci sono. Se su un quintale di farina vengono inseriti cinquanta grammi di miglioratore, questo può anche non essere dichiarato.
Volete un trucchetto per sgamarle queste furbate? La lucidità.
Avete presente le baguette del supermercato? Quelle che dai miglioratori non sono quasi mai immuni, che comprate di buon grado perché è l’una e mezza, avete ospiti a pranzo e il pane proprio non può mancare.
Ecco, sono così lucide che vi ci potete specchiare (scomponendo la molecola dell’amido, i miglioratori semplificano gli zuccheri).
Il profumo di un pane fatto seguendo procedure corrette è facilmente collegabile ai cereali di partenza, ai profumi del grano.
Viceversa, gli aromi di un pane ottenuto con solo lievito di birra sono limitati, il profumo di grano è una chimera, specie se il pane è fatto con farine molto raffinate.
Dipende. A parte l’effetto gomma americana, segno di una cattiva lievitazione o della scarsa cottura di cui vi parlavamo prima, non si può ridurre la consistenza del pane perfetto a un asettico elenco di caratteristiche.
La pasta madre tende ad appesantire il pane, mentre la pasta acida (che poi è il migliore antimuffa naturale) è alla base dell’alveolatura perfetta.
Inoltre, evita l’effetto “pan di spagna” in bocca, ovvero la mollica non si sfalda.
“Il sapore del pane deve essere dato dall’azione del lievito sulla qualità della farina. Il sale deve essere solo un complemento, quello che arrotonda il gusto”.
Per spiegare le parole di Roscioli, il pane deve sapere di grano, anche con un retrogusto un po’ terroso, funghigno se vogliamo.
Se il sale è aggressivo in bocca, c’è qualcosa che non va, tipo che il panettiere ne ha aggiunto parecchio per coprire ingredienti di livello modesto.
Il gusto si concentra sulla pelle del chicco di grano, la parte esterna che ritroviamo in una farina non troppo raffinata. Quindi non aspettatevi da un pane bianco (per fare il quale si usano appunto farine raffinate) gran carattere, né una gran percentuale di sali minerali.
A proposito di integralità e sali, l’impiego di un sale integrale aumenta il costo al chilo del pane di pochissimi centesimi, con un vantaggio molto più che proporzionale sulla nostra salute.
Inutile mangiare pani preparati col sale bianco, privi di magnesio e di iodio (che peraltro “arricchiscono il processo di fermentazione”) per poi correre in farmacia a comprare gli integratori.
Fonte: retenews24
Share on Google Plus

About Italy Media 1

ITALY MEDIA 1 promuove le libere espressioni artistiche, sociali e culturali e sviluppa attività di arricchimento della rete web con contenuti unici ed originali o provenienti dal web.
    Blogger Comment
    Facebook Comment